Thursday, November 30, 2006

LA STRATEGIA DI CIRROC

I Muzzupappini, il popolo più piccolo dell'antichità, avevano un loro eroe nazionale: Cirroc il Grande. 'Grande' più sotto il profilo delle virtù e del coraggio personali che per ciò che concerne le dimensioni corporee ovviamente.
Era diventato famoso presso la sua gente all'epoca dell'invasione dei Romani, quando da solo aveva affrontato una pattuglia di nemici, togliendo loro il vizio di avventurarsi tra i gioghi della Sila senza prendere le dovute precauzioni.
In effetti, i legionari non pensavano che il nanetto potesse costituire un serio pericolo e quello, invece, brandendo una clava piccina piccina ma durissima, s'era fatto sotto con tutto il coraggio che possedeva! Veloce come un furetto menava fendenti a destra ed a sinistra con il risultato di spaccare le ginocchia ai conquistatori d'Italia.
Alla fine dell'epico scontro, Cirroc aveva atterrato parecchi avversari e rotto i testicoli ad un centurione. Fu in quella circostanza che, saltando sopra un sasso, l'eroe pronunciò la frase storica che riempì d'orgoglio il suo popolo:

"Noi Muzzupappini non siamo delle mezze pappine!"

Da allora di lui se ne sono raccontate molte. Qualsiasi evento straordinario, qualsiasi impresa degna d'essere raccontata, qualsiasi nobile gesto venivano tutti ricondotti a lui, anche se non c'entrava un bel niente. Nonostante le esagerazioni, comunque, appare indubbio il fatto che sia riuscito a sedurre non una ma ben due celte in una volta.
E' noto come i Muzzupappini avessero dei problemi di convivenza con i loro vicini, il più imbarazzante dei quali riguardava quelle dannate stangone che proprio non la volevano dare ai poveri tappetti.
Bene, un giorno Cirroc si fece costruire un'enorme culla dal falegname del suo villaggio. Scese in riva ad un torrentello e la spinse in acqua, saltandoci dentro: aveva addosso soltanto un pannolino bianco.
La corrente lo trasportò a valle, dove si trovava l'insediamento celtico più importante dell'area. Ogni tanto il curioso natante roteava su se stesso in preda ai mulinelli ma, subito dopo, riprendeva sicuro il suo viaggio.
Le donne del luogo stavano lavando le vesti e due gemelle - una bella coppia di biondissime valchirie dal fisico atletico e flessuoso - notarono qualcosa. La più intraprendente afferrò un bastone, se ne servì per bloccare la deriva della culla e se ne impossessò.
Cirroc rideva e mugolava proprio come un bambino sicché le celte, inteneritesi, lo presero in braccio e cominciarono a coccolarlo.

"Oooh! Che bel pupetto!"
"Eh eh eh! Bu bu bu! Boo booo!!!"
"Ma perché si lamenta?"
"Poverino l'avranno abbandonato..."
"Forse ha fame."
"Booo boooo!"
"Credo di avere un po' di latte."
"Dagli una tetta, allora, tu che ce l'hai così grosse."
"Le mie sono grosse quanto le tue."
"D'accordo: intanto comincia che' quando ti sei stancata ti do' io il cambio."
"Mmmm!!!!"

Cirroc il Grande non si lasciò certo pregare.

Thursday, November 23, 2006

JUDITH

Il sergente Sammy Washington osservava dubbioso la signorina che aveva di fronte: una bionda, che somigliava a Jean Harlow, con un musetto un po' impertinente, appena dissimulato dal velo del cappellino colmo di fiori, e tutta strizzata in un vestitino rosso. Lunghi guantoni bianchi. Calze a rete di seta nera. Scarpette chiuse con il tacco a pera da dieci. Il sergente era un negro imponente sulla quarantina ed era entrato nell'esercito ancor prima di compiere la maggiore età per non fare lo schiavo in fabbrica come il padre. Le cose strane non gli piacevano affatto.

"Sicché tu ti chiameresti Jude MacCoffy?" - fece, appoggiandosi allo schienale e tamburellando sul tavolo da lavoro con le dita della mano destra.
"Si, signore."
"Sei un travestito?"
"No, signore."
"No, eh? Senti Judith, quand'ero una recluta commisi l'errore di prendermi gioco di un diretto superiore. Tu sai come andò a finire?"
"No, signore."
"Dovetti scavare due volte tutte le latrine del fronte occidentale ai bei tempi della seconda guerra mondiale. Pensi che sia stato piacevole?"
"Suppongo di no, signore."
"'Mbhè supponi maledettamente bene."
"Però, signore, io non sono un travestito ma la vittima di uno scompenso ormonale."
"Uno scompenso ormonale?"
"Accade una volta su un milione di casi che un maschietto abbia più estrogeni del normale, almeno tanti quanti una femminuccia."
"E che succede se uno ha più estrogeni?"
"Di solito le palline nemmeno scendono..."
"Le mie, invece, cominciano a girarmi!"
"In ogni caso il risultato finale lo vede davanti ai suoi occhi, signore."
"Se ho capito bene, possiedi un cazzo di sesso maschile..."
"Piccolo piccolo, sergente, a occhio nudo si vede a mala pena."
"Ah, ma il dottore ha il suo microscopio: ci risolverà lui il dilemma."
"Volevo aggiungere che ho un diploma d'infermiera... cioè d'infermiere... e...!"
"Possiedi dei santi in paradiso, Judith?"
"Temo di no... ho provato a portarmi a letto un capitano ma l'affare non mi ha procurato i vantaggi in cui speravo."
"Dovevi scoparti un colonnello, mia cara. Ti avrebbero riformato anziché mandarti in piena jungla a giocare con le tigri ed i vietcong. Comunque, se è vero che sai fare l'infermiera, avrai l'incarico di soccorrere i compagni feriti: non sarà piacevole ma è sempre meglio che affrontare i musi gialli alla baionetta."
"Grazie, signore."
"Sono vere quelle tette?"
"Certo, non si ricorda la storia degli estrogeni?"
"Vabbhé, ti troveremo un'uniforme più carina."
"E' il sogno della mia vita."
"Soldato MacCoffy, è l'ultima volta che ti concedo una battuta d'umorismo! Qui, non siamo al cinema: i marines non sono tutti biondi con gli occhi azzurri. I negri, i chicanos, gli irlandesi, gli italiani ed i poveracci in generesi fanno il culo per la patria, gli altri molto di meno, che credi?"
"Metterò a frutto quel poco di attributi che possiedo."
"E' quello che volevo sentire!... Cioè... insomma... i marines per la verità dovrebbero avere due coglioni così!"

Judith inarcò un sopracciglio davvero ben disegnato.

"Vai pure, soldato, e bada di non fomentare i rapporti omoerotici tra la truppa!"

Rapporti omoerotici? Chi io? - pensava Miss MacCoffy - Oh, bhè, la patria può chiedermi qualsiasi sacrificio tranne che essere insensibile ai bei fustacci!

Friday, November 17, 2006

LA CITTA' FANTASMA

Billy Dakota e Soledad de Castillo cavalcarono insieme fino al deserto dell'Arizona, tirando le redini soltanto in vista di Tomb Town. La città, un tempo importante stazione di transito verso Tucson, doveva essere stata abbandonata da parecchi anni, in realtà, ma nel Far West non tutte le notizie corrono veloci.
Le strade erano polverose ed attraversate giusto da qualche rado sterpo sospinto dal vento mentre il gelido silenzio di quel luogo veniva rotto dallo sbattere cadenzato dell'insegna sconnessa del saloon e dal correre frenetico dei topi, gli unici residenti - presumibilmente.
Billy decide di entrare nel locale, sperando di trovarci almeno una boccia di buon vecchio whiskey di malto, e Sole gli andò dietro con l'idea di sistemarsi nella stanza in condizioni migliori ed avere così un tetto sopra la testa, per una notte. Nel saloon il pianoforte rotto mandava una musica allegra: Bob Morton detto il Taciturno era impegnato in un poker con la Morte velata ed in abito nero. A giudicare dalla sua espressione l'incallito baro non stava di certo vincendo. In effetti, l'avversaria sapeva bene come bluffare e non era certo il tipo da farsi rifilare una mano fasulla.
Soledad, innervosita dalla compagnia, si strinse al braccio di Dakota e gli sussurrò ad un orecchio:

"Forse è meglio se ce la filiamo alla svelta, cocco."
"Ma no ma no! Siete appena arrivati." - le fece eco Miss Lily che gestiva la baracca.

I due si voltarono e videro una mummia avanzare alle loro spalle. Indossava un abitino scarlatto all'ultima moda di Parigi: l'incarnato appariva un po' cereo per la verità ed il corpo rinsecchito doveva aver conosciuto senza dubbio giorno migliori ma lo charme era ancora quello dei bei tempi. Billy la osservò con curiosità, aveva avuto una fidanzata settantenne una volta e, dunque, Miss Lily non gli sembrava proprio da buttar via... a parte, forse, per quel suo sorriso fin troppo tirato.

"Ehi! Non mi piace mica come la guardi." - sibilò Sole.
"Posso offrirvi un giro di whiskey... - continuò la mummia - ... ma prima dovete consegnare le armi allo sceriffo."
"Non se ne parla neanche." - ribetté secco Dakota che, privato della sua colt, si sarebbe sentito nudo.
"Se ne parla, invece. Se ne parla." - puntualizzò una voce glaciale.

Uno scheletro con il cappello bianco e la stella d'oro giocherellava con il revolver dietro la balaustra del secondo piano.

"Sceriffo, sono solo dei ragazzi." - l'ammonì Miss Lily, ravvivandosi i capelli scuri, crespi e lanosi.
"Sì, Billy, siamo appena arrivati in città e non mi pare il caso di creare incidenti."

Soledad si tolse il sombrero, liberando la chioma bionda che ondeggiò a lungo, e, quindi, si spolverò con cura la giacchetta ed i pantaloni celesti. Dio, in che stato s'erano ridotti i suoi splendidi stivali verniciati!

"Ti vuoi fermare qui!?!" - domandò attonito l'amico.
"E perché no? Ho frequentato gente peggiore in vita mia."

Salì sculettando le scale e consegnò la pistola allo scheletro.

"Si sa che il mondo è un verminaio immondo ma, dove ci sei tu, io non ho paura."

Billy Dakota si fece coraggio e raggiunse la sua bella. Miss Lily, intanto, sorrideva benevola: vedere due innamorati le scaldava il piccolo cuoricino ormai ridotto a brandelli. Bob il Taciturno, al contrario, non era così di buon umore perché aveva perso la partita ed era stato ripulito.
La Morte aveva barato meglio di lui.

Friday, November 10, 2006

I MUZZUPAPPINI

In epoca romana i Muzzupappini vivevano tra i monti della Sila. Erano un popolo di piccoletti ma così piccoletti che chi raggiungeva il metro e trentanove veniva considerato un vero gigante ed i bambini gli facevano il girotondo intorno, domandandogli che tempo facesse lassù. Ad ogni modo supplivano a questo limite con la tenacia e l'industriosità. L'organizzazione era il loro punto di forza: in meno di un'ora una squadra di Muzzupappini poteva edificare una palafitta. Coordinati alla perfezione, ognuno aveva il suo compito e lo espletava egregiamente. Chi segava tronchi, chi sfoltiva rami, chi tirava su pali, gridando oh-issa (!). Erano, poi, rapidissimi nei movimenti: saltavano di qua e di là, correvano a scegliere lo strumento più adatto per le bisogna e, se incontravano un ostacolo impegnativo, come un cespuglio, si mettevano uno sopra all'altro e lo superavano tutti insieme.
Per darsi il ritmo, di solito, cantavano una canzoncina:

Non c'importa se il lavoro è duro
Noi tiriam su un gran muro
Ci basta qualche chiodo ed un martello
Perché piccolo è bello!!!

L'unico elemento perturbatore della laboriosa esistenza dei Muzzupappini era rappresentato dalle Muzzupappine. Tappette e paraculette non si lasciavano mai sfuggire l'occasione di combinar guai, soprattutto le più giovani che erano delle autentiche birbe. Con la maturità, magari, mettevano la testolina a posto e si accasavano con il promesso sposo, se questi ce l'aveva fatta a sopportarle fino a quel momento. Si diceva, infatti, che la miglior dote di un muzzupappino innamorato fosse la pazienza.
Caratteristico il rito con cui si arrivava alla promessa matrimoniale: per le feste di primavera i maschi interessati costruivano tante barchette colorate e, prima del raccolto, le mandavano in acqua. Ogni ragazza doveva scegliere quella che reputava più carina o più solida e, quindi, ci saltava sopra. Il realizzatore del natante la seguiva subito (onde evitare che cambiasse parere) e tutti e due cominciavano a remare per risalire la corrente. E' noto come tra le Muzzupappine ci sia sempre stato un vivace scambio d'informazioni per sapere chi avesse costruito che cosa.
I Muzzupappini, in generale, erano abbastanza pacifici ma, se si facevano saltare la mosca al naso, intraprendevano fior di guerre contro i vicini (!). In effetti, al confine settentrionale del loro territorio s'erano stabilite alcune comunità galliche con cui non si riusciva proprio ad andar d'accordo. Le Celte, spilungone e smorfiose, non davano confidenza a quei piccoletti che se ne avevano a male ma, dall'altra parte, c'era più di una muzzupappina che se la spassava alla grande con qualche bel titano biondo e ti sfornava pure due o tre marmocchietti di media statura, recando grave scandalo.
Un giorno Muzzupappini e Celti si dettero appuntamento in pianura per regolare i conti una volta per tutte.
I guerrieri del nord giunsero per primi. Aspettarono per un po' ma i nemici non si decidevano a comparire. Aspettarono ancora ed ancora: niente da fare!

"Tu li vedi?" - domandò il capo della spedizione al suo braccio destro.
"Boh! - rispose l'altro, schermando gli occhi ed aguzzando la vista - Per me, oggi, non vengono. Faremmo meglio a tornarcene a casa."
"Siamo qui!!!" - urlava, nel frattempo, l'armata dei Muzzupappini sotto di loro.
"Eppure mi pare di udire qualcosa."
"Dici?"
"Siaaamoooo quiiiii!"

Il problema era che i Celti stavano guardando ad altezza d'uomo (d'uomo celtico) e non si accorgevano della presenza di un battaglione di nanerottoli che agitavano minacciosi mazze e clave. Non se ne usciva. Alla fine, i biondoni fecero dietro-front ed i Muzzupappini incazzati neri presero ad insultarli:

"Alti alti e fregnoni!"